Che differenza c’è tra le derivate ordinari e quelle parziali? Per quale motivo si chiamano derivate parziali? Proviamo a rispondere a queste domande partendo da un punto importante: le derivate parziali si riferiscono a funzioni con più variabili reali.
Nel calcolo di queste, infatti, non si ha a che fare con funzioni come f (x) 0 x + 3 in cui è presente una sola variabile indipendente, ma ci si trova davanti a funzioni con due o più variabili. Il termine parziale si riferisce alla derivazione parziale rispetto a una variabile (x) ma in una funzione in cui è presente anche il parametro y.
La Storia di Calcolo di Boyer, parlando delle derivate parziali, cita: “Se si ricorda che la rigorizzazione dei concetti di derivata e di differenziale per funzioni di una variabile risale a Bolzano, Cauchy e Weierstrass dobbiamo allora riconoscere che l’estensione di questi concetti a funzioni di più variabili non è stata del tutto immediata e ha richiesto qualche decennio. Il motivo del “ritardo” non sta certamente nel passaggio dal concetto di derivata a quello di derivata parziale. Queste erano state introdotte già nel corso del XVIII secolo, a opera di matematici quali i fratelli Bernoulli e lo stesso Eulero, [assieme alle] prime ricerche sulle equazioni alle derivate parziali…È “già” del 1873, per esempio, il noto teorema di Hermann A. Schwarz sull’uguaglianza delle derivate parziali seconde miste. Va invece considerato il tempo necessario per rendersi conto dell’analogia solo parziale con le funzioni di un’unica variabile. Nello sviluppo del calcolo, l’analogia svolge un ruolo euristico essenziale ma – come è capitato altre volte nella storia della matematica – può risultare di freno quando si tratta di individuare il momento in cui il parallelismo si interrompe e occorre prendere altre strade.”
Da questa descrizione di intuisce che il calcolo differenziale di funzioni di più variabili reali, solo apparentemente sembra quello di una singola variabile, ma in realtà sussistono profonde differenze. Le derivate parziali hanno una loro applicazione nella fisica e, fra queste, possiamo individuare con certezza le celebri equazioni di Maxwell relative all’elettromagnetismo. Restando sempre nell’applicazione della fisica, si può analizzare la propagazione degli errori. Per quanto ci si possa impegnare, la fisica non permette misure perfette poiché, provando a misurare una certa grandezza, nonostante tutta la buona attenzione, avremo sempre dei piccoli errori. La nostra misura, apparentemente, sarà precisa. Un tavolo, ad esempio, misurato in centimetri ci darà una misura esatta, ma esistono ordini di grandezza che, in questo caso non sono stati valutati. Quindi se misuriamo un tavolo e ci risulta di 120 cm, il risultato non è sbagliato, ma incompleto poiché non abbiamo considerato millimetri, micrometri, nanometri ecc.. A questo punto possiamo dire che la nostra misura non è precisa al 100%. Quindi, la misura sarà composta da due valori: la miglior stima di misura e il valore d’incertezza. Ovviamente, se abbiamo una grandezza più complessa di quella di un tavolo, avremo una grandezza generica che dipende dal prodotto di altre grandezze generiche e indipendenti.